Questo è quanto si legge nella recente sentenza Cass. Civ., Sez. II, n. 17752 del 2015, depositata in data 08/09/2015.
A sostegno dell'assunto la S.C. richiama il proprio pacifico orientamento secondo cui l'esercizio del potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa, a lui conferito dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all'art. 115 c.p.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che, pertanto, presuppone che sia provata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare.
Al di fuori di tali limiti, dunque, il ricorso alla equità integrativa non è possibile, dal momento che, in tal modo, il Giudicante finirebbe per rimediare al mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o alla mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza, il cui onere incombe sulla parte che ha formulato la domanda.